sexta-feira, 19 de junho de 2009

12. LA COMUNITA

13/06/2009

12. LA COMUNITA

13 - 19 giugno

 

Letture: Genesi 11:1-4; 12:1-3; 1 Corinzi 12:12-27; Efesini 4:1-13; Apocalisse 22:1-6

 

«Ora voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua» 1 Corinzi 12:27

 

Gli uomini sono esseri sociali. Dio avrebbe potuto creare centinaia di milioni di esseri umani perfetti e indipendenti, ciascuno dei quali con i propri obiettivi esclusivi. Invece li ha creati maschio e femmina, affermando che non sarebbe stato bene per l'uomo rimanere da solo. La prima coppia era formata da due individui che dovevano completarsi a vicenda e moltiplicarsi per dare vita a una comunità di familiari, che poi si sarebbe evoluta in raggruppamenti sociali più ampi.

Uno dei gruppi sociali più importanti cui le persone possono appartenere è proprio la chiesa. Purtroppo molti individui non riconoscono più i benefici sociali dall'appartenenza alla comunità di fede; la chiesa, naturalmente, è molto più di un circolo nel quale si ritrovano uomini e donne che condividono interessi specifici. La chiesa è una comunità di credenti che hanno in comune l'esperienza della salvezza e identificano Cristo come loro salvatore.

 

Uno sguardo alla settimana

Credere e appartenere sono due situazioni strettamente legate tra di loro. Dio vuole che facciamo parte della comunità da lui originata. È un privilegio farne parte, ma è anche una responsabilità. Ciascuno di noi deve portare il proprio contributo unico al corpo di Cristo.

In Genesi 11 troviamo la cronaca dell'esperimento di formazione di una comunità che non incontrò l'approvazione divina. Quando, dopo il diluvio universale, i discendenti dei sopravvissuti decisero di rimanere uniti e costruire un'alta torre nella zona meridionale dell'odierno Iraq, il Signore fu molto dispiaciuto. Non era una scelta in sintonia con le sue intenzioni. Eppure, nel capitolo successivo, Genesi 12, fa nuovamente capolino il concetto di edificazione di una comunità, stavolta però in senso positivo. Dio disse ad Abraamo che voleva formare un popolo che egli avrebbe considerato suo.

 

Qual era la principale differenza tra l'iniziativa della torre di Babele e il piano di Dio, secondo cui Abraamo e i suoi posteri sarebbero diventati il suo popolo?

Confronta Genesi 11:1-4 con Genesi 12:1-3

 

Dalla chiamata di Abraamo in poi, l'Antico Testamento si focalizza sulle esperienze del popolo di Dio, con i suoi fallimenti e i suoi trionfi. La missione del popolo di Israele era quella di fare conoscere il Dio del patto a ogni altra nazione e preparare la strada alla venuta del Messia. Sappiamo in che modo Israele, inteso come popolo, fallì il compito che gli era stato affidato; quando il Messia venne, fu respinto e ucciso come un criminale da certi capi che lo avrebbero dovuto accogliere come redentore. Molti però rimasero fedeli al Signore e dettero vita al nucleo originale dal quale sarebbe poi sorta la chiesa cristiana.

 

1 Pietro 2:9,10. Quale implicazione hanno per noi questi versetti?

 

Il popolo di Dio del Nuovo Testamento è composto da ebrei e gentili, da uomini e donne di ogni nazione, tribù e gruppo linguistico. Come per Israele ai tempi dell'Antico Testamento, hanno la responsabilità di insegnare agli altri la grazia divina. Anch'essi, come Israele, appartengono a una comunità speciale di credenti.

 

Quali analogie puoi trarre tra l'antico Israele e la chiesa attuale? Quali lezioni dobbiamo apprendere e quali errori evitare?

Laurence J. Peter, un educatore e autore americano, disse una volta: «Andare in chiesa non ti rende cristiano più di quanto andare in garage ti faccia diventare un'automobile». Appartenere seriamente alla chiesa di Cristo va ben oltre l'avere il proprio nome scritto sul registro della comunità. Significa avere la consapevolezza di cosa la chiesa rappresenti e di quale ruolo ricoprire al suo interno.

In più di un'occasione Paolo si riferisce ai credenti con l'appellativo di santi(Ef 1:1; Fil 1:1; Col 1:2), un termine che oggi ha acquisito un significato inedito ai tempi biblici. I santi non sono persone perfette o sacre; certamente non sono persone che sono state dichiarate «sante» dopo la loro morte, al termine di una lunga e complessa procedura ecclesiastica.

«Per Paolo (e gli altri autori biblici), il termine santo non ha alcuna delle connotazioni da vetrata decorata di chiesa che ha per noi. Un santo non era un cristiano perfetto, ma chiunque fosse chiamato e selezionato da Dio a far parte della comunità di fede» - John C. Brunt, The Abundanti Life Bible Amplifier: Romans, Pacific Press® Publishing Association, Boise, Idaho, 1996, p. 42.

 

Quale importante ruolo viene attribuito a quanti appartengono alla chiesa, il «corpo di Cristo»? In che modo ogni «santo» dovrebbe relazionarsi con tutti gli altri?

1 Corinzi 12:12-27

 

Un membro di chiesa non può essere ridotto a una statistica. Ogni appartenente alla comunità deve ricoprire un ruolo unico e dare un contributo particolare; nessuno può venir meno senza causare una disfunzione all'intero organismo. Allo stesso tempo, nessun membro può sostenere che il proprio contributo sia superiore a quello di un altro; la metafora del corpo con i suoi vari organi illustra in maniera sublime questa realtà. Alcuni paiono più vitali di altri: il cuore, il cervello, i polmoni e lo stomaco si possono forse considerare più essenziali, ma è stato provato che il funzionamento o il malfunzionamento di una qualsiasi ghiandola può diventare causa di vita o di morte.

 

Ti senti a tuo agio nella tua comunità? Sei soddisfatto del ruolo che ti è stato assegnato? Sei geloso di quello occupato da qualcun altro? Sei un organo senza vita, oppure stai cercando di caricarti più del necessario? In che modo le parole di Paolo possono aiutarti a comprendere meglio quale debba essere il tuo ruolo?

Appartenere al corpo di Cristo è un gran privilegio e c'è un altro modo di dire che sottolinea questa grande verità: facciamo tutti parte della famiglia di Dio. «Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio!» (1 Gv 3:1). Ma ai privilegi si accompagnano le responsabilità.

 

L'immagine secondo la quale la chiesa è il corpo di Cristo e noi le sue membra, cosa implica a livello di nostre responsabilità? Efesini 4:1-13

 

«Tutti devono muoversi come se fossero parti di un'apparecchiatura messa bene a punto, nella quale ogni pezzo dipende dall'altro seppur ciascuno agisca in maniera distinta. E ognuno deve prendere il posto che gli è stato assegnato e fare il lavoro affidatogli. Dio chiama i membri della sua chiesa a ricevere lo Spirito Santo, a ritrovarsi insieme per unirsi in una fraterna simpatia, per legare reciprocamente nell'amore i loro interessi» - MLT, p. 276.

 

Quali altre responsabilità sono determinanti per ogni membro di chiesa? 1 Corinzi 16:2; 1 Tessalonicesi 5:14,17,25; Ebrei 10:25; 1 Pietro 3:15

 

Molti vivono in una società consumistica e tendono a portare nella chiesa questa mentalità di consumatori. Spesso ci si domanda non tanto come posso contribuire con i miei doni e i miei talenti, ma piuttosto cosa posso trovare per me in quel luogo. Quando nel 1961 John F. Kennedy fu proclamato presidente degli Stati Uniti, pronunciò queste parole senza tempo: «Non chiedetevi che cosa può fare il vostro paese per voi, ma cosa potete fare voi per esso».

Le potremmo tranquillamente applicare al nostro atteggiamento nei confronti della chiesa; anche se essa può e fa molto per tutti quelli che la frequentano fedelmente e contribuiscono alle sue molte attività, dovremmo prima di tutto domandarci: in che modo la posso servire al meglio? Cosa fare per incoraggiare gli altri? Come posso essere un modello per i nostri giovani? Quale contributo posso apportare perché la mia comunità diventi una casa spirituale nella quale tutti quelli che ne hanno necessità possano trovare la pace interiore e il nutrimento spirituale?

 

Qual è il motivo principale che mi spinge a recarmi in chiesa? Cosa posso prendere e cosa posso dare?

Molti cristiani si stanno dando un gran daffare per riuscire a ottenere una maggiore unità fra le varie denominazioni. Parlano di «scandalo» della divisione e della disunione, ricordandoci che Cristo aveva ripetutamente fatto appello ai suoi seguaci perché tra loro vi fosse unità. L'unità è considerato un tema chiave anche dalla chiesa avventista, minacciata dalla frammentazione e dalla polarizzazione al suo interno. Ma l'unità cercata dagli avventisti non può ridursi a una pura condivisione strutturale o a un'uniformità degli stili liturgici o di altre tradizioni. Si tratta di un'unità molto più profonda.

 

Quali sono i requisiti decisivi per la vera unità cristiana? Giovanni 14:6; Efesini 4:3,13

 

Essere uniti in Cristo significa essere uniti nella verità; Gesù si definì egli stesso verità. Questo non vuol dire che non può esserci vera unità tra persone che hanno visioni divergenti a proposito di certe interpretazioni teologiche o di certi passi biblici. Ma la vera unità esige un impegno comune verso la Scrittura quale Parola di Dio e verso i suoi insegnamenti fondamentali, come anche il desiderio condiviso di praticare tali insegnamenti. Non è richiesto, tuttavia, ai membri di pensarla allo stesso modo ed esprimere un tipo di adorazione uguale per tutti. La vera unità non annulla la splendida diversità culturale che arricchisce così tanto la nostra chiesa mondiale.

 

In che modo la descrizione della Nuova Gerusalemme illustra la ricca diversità che caratterizza il popolo di Dio? Apocalisse 21 e 22:1-6; in particolare 21:12-14,19,26 e 22:2

 

La Nuova Gerusalemme fa riferimento a qualcosa di reale e concreto che Dio crea per il suo popolo, anche se la descrizione è altamente simbolica. Quello che ci colpisce è la sottolineatura della diversità, ma non ci stupisce perché i redenti proverranno da «ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5:9). Le persone che varcheranno le porte della Nuova Gerusalemme e popoleranno la nuova terra sono assimilabili ai molti tralci di una stessa vite. «Nei tralci della vite c'è diversità, eppure in questa diversità si riscontra unità. Ogni tralcio è unito al gambo principale e trae nutrimento dalla stessa fonte. Quando siamo i tralci della vera Vite, non ci sono dispute che ci coinvolgono, nessuna lotta per la supremazia e nessun atteggiamento denigratorio reciproco» - Ellen G. White, General Conference Bulletin, 25 aprile 1901.

 

Se in cielo ci sarà diversità, perché nelle nostre chiese assistiamo a controversie di tipo etnico? Perché tendiamo a volerci unire ai nostri simili di razza per distinguerci dagli «altri»? Quale tipo di messaggio trasmettiamo comportandoci in questo modo?

Parliamo spesso della nostra chiesa e abbiamo validi motivi per esserne orgogliosi. Però ci rendiamo anche conto che non è perfetta; abbiamo investito in essa tanto di noi stessi, i nostri talenti, il tempo, le forze e il denaro ed è comprensibile avere nei suoi confronti una sensazione di appartenenza. Ma alla fine, la chiesa non è nostra, è di Dio. Ed è una differenza sostanziale.

 

Perché è Cristo stesso a fare luce sulla questione relativa alla «paternità» della chiesa? Matteo 16:18

 

La frase di Cristo relativa alla pietra sulla quale doveva essere edificata la chiesa di Dio è stata grossolanamente equivocata dalla massa. Quando si prendono in considerazione il contesto generale e altre prove bibliche, non c'è modo di ipotizzare che questa pietra dovesse essere l'apostolo Pietro e che quell'autorità speciale sarebbe poi stata trasferita da lui ai futuri vescovi di Roma. La confessione di Pietro secondo cui Cristo era Figlio del Dio vivente (Mt 16:16) rappresenta la pietra sulla quale Dio ha edificato la sua chiesa.

 

Considera il significato di altri simboli usati per sottolineare la stessa verità e cioè che la chiesa è edificata su Gesù Cristo, che si tratta della sua chiesa e non della nostra. Efesini 2.20; 4:15,16; Apocalisse 1:12-16,20

 

Analogamente a tanti passaggi dell'Apocalisse, la descrizione di Gesù Cristo resa al cap. 1, nei vv. da 12 a 20, è ricca di immagini mutuate dall'Antico Testamento. Cristo viene presentato come una figura che cammina in mezzo a sette candelabri d'oro, vestito da Sommo Sacerdote. La nostra mente torna automaticamente al simbolo del candelabro nell'antico tabernacolo, che proclamava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Prima di entrare nei dettagli relativi alle «cose che devono avvenire» (Ap 1:1), Apocalisse si accerta che ogni cosa sia vista dalla prospettiva corretta. È la rivelazione di Gesù Cristo, l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il nostro Sommo Sacerdote celeste, che non è una divinità statica e distante, ma colui il quale cammina in mezzo alla sua chiesa.

 

Se la chiesa appartiene a Dio, qual è il nostro ruolo al suo interno? Non ne siamo forse gli amministratori? Quale responsabilità comporta questo mandato e come lo assolviamo?

Per un accurato studio circa la natura della chiesa, leggere R. Dederen, ed.Handbook of Seventh-day Adventist Theology, Review and Herald® Publishing Association, Hagerstown, Md., 2000, pp. 538-581.

 

«Gesù disse: "Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli"» (Mt 16:17).

 

«La verità confessata da Pietro è il fondamento della fede. In ciò, secondo Gesù, consiste la vita eterna. Ma questa conoscenza non deve essere un motivo di vanto. Essa non fu rivelata a Pietro per una sua sapienza o per bontà personale. L'umanità non potrà mai con i suoi soli mezzi pervenire alla conoscenza delle realtà divine. "Si tratta di cose più alte del cielo; tu che faresti? Di cose più profonde del soggiorno dei morti; come le conosceresti?" (Gb 11:8). Solo lo Spirito di adozione ci rende capaci di discernere le cose profonde di Dio» - DA, p. 412 [310,311].

 

Domande per la discussione

1. Essere membro di chiesa è una condizione necessaria per la salvezza? Ci sono altri motivi per cui la frequentiamo? Quali? Quali sono i grandi vantaggi che derivano dal far parte di un corpo? In cosa dobbiamo invece essere particolarmente prudenti?

2. C'è chi dice: «Ho smesso di andare in chiesa. Quando la frequentavo mi lasciava un senso di vuoto. Se vado in mezzo alla natura vivo un'esperienza spirituale più intensa rispetto all'ascolto di un sermone poco interessante». Cosa replichi a questa tesi?

3. Riflettere sulla questione sollevata nella lezione di mercoledì, a proposito delle diversità etniche presenti nella chiesa. Perché proprio i cristiani dovrebbero mostrarsi più tolleranti e aperti nei riguardi del prossimo, indipendentemente dalle differenze di razza?

 

In sintesi

La chiesa è un'iniziativa divina. Si deve parlare di chiesa di Dio, non degli uomini; noi siamo membri del corpo di Cristo, ciascuno con una sua funzione precisa e distinta, ma dobbiamo sempre ricordare che è lui a guidarla. Non ci viene richiesta uniformità ma di impegnarsi in ogni modo possibile per conservare la vera unità in Cristo.

FONTE: http://avventisti.it/sito/bibbia_dettagli.asp?id=437