03/10/2009
2. PREPARAZIONE DI UN POPOLO
3 - 9 ottobre
Letture: Numeri 5,6; Ezechiele 33:15; Luca 19:8,9; Atti 17:28; 1 Corinzi 6;19,20
«Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua» 3 Giovanni 2
Chi non è stato profugo, probabilmente non riuscirà a mettersi completamente in sintonia con la condizione dei figli d'Israele. Naturalmente, a differenza di tanti profughi del presente, essi volevano lasciare l'Egitto. Eppure deve essere stato destabilizzante abbandonare l'unica terra che avevano conosciuto per vagare nel deserto ostile. È in questo contesto che possiamo capire meglio alcune regole e disposizioni date a questo popolo, con l'obiettivo di aiutarlo a sopravvivere.
Allo stesso tempo, nonostante l'interruzione di alcuni fenomeni, come la manna, una volta entrati finalmente nella terra promessa, molti ordini rimasero vigenti perché in essi vi erano dei principi che, se rispettati, avrebbero grandemente benedetto le loro esistenze in un mondo pieno di peccato e idolatria.
Questa settimana analizzeremo alcune delle pratiche istituite da Dio per il suo antico popolo, tra cui la cura e il trattamento di alcune malattie, la gestione dell'infedeltà coniugale e delle inevitabili contese che sorgono quando gli individui vivono insieme.
Immaginiamoci la scena dell'antico Israele nel deserto, ai piedi del monte Sinai. Migliaia e migliaia di nomadi con il loro bestiame, a molti chilometri di distanza da una qualsiasi forma di civiltà. Quale tipo di medicinali potevano avere a disposizione? Nessuno. E considerando il modo in cui veniva praticata a quel tempo la medicina, forse era meglio non averne.
Ma è certo che in un ambiente del genere, poteva tranquillamente propagarsi qualsiasi sorta di epidemia.
Il Signore ordinò a Mosè di fare uscire dall'accampamento tre categorie di persone. Quali? Numeri 5:1-4
Evidentemente, chiunque avesse una grave malattia della pelle poteva essere definito lebbroso. Anche la vera lebbra (che oggi si chiama morbo di Hansen) faceva parte di questa categoria. Ogni malattia infettiva della pelle doveva essere considerata un pericolo per la comunità e quindi anche un'emorragia o il contatto con un cadavere in decomposizione nel caldo del deserto, potevano scatenare un'epidemia di grandi proporzioni in tutto l'accampamento.
Uomini e donne venivano espulsi fino a quando la loro salute migliorava (se ciò avveniva). Il Signore non «odiava» questi individui fisicamente menomati, ma per la salvaguardia sanitaria dell'intera nazione, li confinò in una zona esterna al campo, una sorta di quarantena. Anche oggi negli ospedali ci sono reparti speciali per persone che hanno contratto malattie infettive.
Per quale ragione teologica le persone inferme venivano allontanate per un periodo dall'accampamento della nazione? (Nm 5:3, u.p.). Quale messaggio spirituale si può dedurre?
Consideriamo l'intera problematica da una prospettiva spirituale, partendo dal concetto di contaminazione, di peccato, di ciò che esso comporta per l'uomo. Quale credente non ha personalmente sperimentato il potere del peccato di separare un individuo dal senso della presenza di Dio? Chi non ha mai avvertito la sensazione di isolamento spirituale derivante dall'essere contaminati di fronte al Signore?
Quali sono le cose che osserviamo, leggiamo, mangiamo, facciamo o anche pensiamo, capaci di farci sentire spiritualmente esiliati all'esterno del campo? Qual è l'unica soluzione a questo problema? 1 Giovanni 1:8,9
Non è semplice per noi cogliere le enormi problematiche inerenti alla migrazione di migliaia di esseri umani con le loro greggi e le mandrie di bestiame. Ora si trovano «stipate» ai piedi del monte Sinai; quelli fisicamente menomati sono stati allontanati per salvaguardare la salute della nazione, ma c'è un altro grave problema che deve essere risolto. Anche se era stato detto loro di amarsi reciprocamente (Lv 19:18), come sa bene chi vive all'interno di una comunità, non sempre è cosa semplice; anche nei migliori momenti, nascono delle situazioni conflittuali.
Quando un'israelita peccava contro una persona nell'accampamento, contro chi peccava in realtà (cfr. Nm 5:6; Sal 52:3,4)? È così difficile capire questo concetto?
Fare un torto a un nostro vicino significa peccare contro Dio stesso, non dovrebbe essere troppo arduo da comprendere. Tutti apparteniamo al Signore, siamo sua proprietà, sia per quanto riguarda la creazione, sia per la redenzione (1 Cor 6:19,20; At 17:28). Se si presentasse qualcuno nella tua proprietà e la danneggiasse, non si tratterebbe tanto di un reato contro la sola proprietà, quanto contro di te, che ne sei il possessore.
Funziona alla stessa maniera ogni volta che ci comportiamo male nei confronti di qualcuno; in realtà stiamo peccando contro Colui il quale ha creato quella persona e che, sulla croce, l'ha riscattata con il proprio sangue. Non c'è da stupirsi allora che la Bibbia esprima questo concetto.
Cosa doveva fare il «colpevole»? Numeri 5:6-8 (cfr. Ez 33:15 e Lc 19:8,9)
Sebbene il principio di riparare i torti fatti ad altre persone sia ancora vigente, come risarcire quello commesso contro Dio? Non lo possiamo fare, è un dato di fatto! È impossibile giustificarci davanti a Dio. Gesù è venuto proprio per riconciliarci con il Padre, non in virtù dei nostri meriti ma solo per quello che il Messia ha fatto per noi (Col 1:20).
Tenendo presente ciò che ha fatto Gesù per riconciliarci con il Padre, cosa ti serve per ritrovare l'armonia con una persona con la quale hai delle tensioni?
Il Creatore stabilì il vincolo matrimoniale nell'Eden creando la polarità sessuale e celebrando la prima unione (Gn 1:26-28; 2:21-24) tra l'uomo e la donna. Due comandamenti, il settimo e il decimo, hanno protetto l'istituzione del matrimonio. Nel sistema teocratico, l'infedeltà coniugale era punita con la morte (Lv 20:10).
Leggere Numeri 5:11-31. Quale interpretazione possiamo dare oggi delle cose descritte in questi passi?
Il Signore, è evidente, desiderava sottolineare quanto grave considerasse la questione dell'infedeltà coniugale, di gran lunga la peggiore minaccia alla stabilità familiare. Secondo questa procedura, che ovviamente prevedeva un elemento sovrannaturale, l'attenzione era concentrata sulla bevanda. L'acqua era santa, come il terreno dal quale il sacerdote prendeva un pizzico di polvere.
Acqua santa e polvere non rendevano amara la bevanda, semplicemente ne sottolineavano la sacralità. Le maledizioni lavate nell'acqua erano simbolo del suo potenziale sapore amaro. «Tutto dipendeva dalla colpevolezza o dall'innocenza della donna. Se il sacro incontrava il corrotto, il giudizio era inevitabile. Se il sacro si trovava con l'innocenza, prevaleva l'armonia» - Raymond Brown, The Message of Numbers, p. 46.
Questa procedura per noi strana non era un caso di magia, ma un aiuto concreto e visibile a cui potevano ricorrere gli ex schiavi. Non era l'acqua, ma il Signore a leggere il cuore della moglie e a punirla o ad assolverla.
In che senso questa procedura può essere vista come una protezione per la donna, che rischiava di essere vittima di una gelosia ingiustificata da parte del marito?
Per quanto singolare possa apparirci oggi questo metodo, quello che emerge è l'importanza del vincolo matrimoniale agli occhi del Signore. Lui solo sa quanto dolore, sofferenza e danno è stato causato dall'infedeltà coniugale di un partner o dell'altro. Che tragedia vedere come in tante culture questo vincolo paia avere la stessa formalità di una stretta di mano.
Quali sono le scelte che ti possono aiutare ad avere un cuore puro?
Dio si prefisse l'organizzazione di Israele nel senso più ampio affinché fosse per lui «un regno di sacerdoti, una nazione santa» (Es 19:6). Quel popolo avrebbe così testimoniato alle nazioni vicine e lontane le verità riguardanti il Dio vivente e creatore di tutte le cose. Ma nel Sinai il Signore nominò in particolare sacerdoti e leviti per servirlo, in relazione all'adorazione nel santuario.
Quale voto particolare poteva prendere un individuo comune (uomo o donna) per dedicare un lasso di tempo preciso al Signore (Nm 6:1-21)? Quale insegnamento si può trarre per migliorare la nostra spiritualità e il nostro impegno per il Signore?
Un nazireo era una persona «consacrata» che si proponeva di dedicarsi al Signore per un periodo di tempo variabile. Un genitore poteva consacrare un bambino a un nazireato che durasse tutta la vita; la madre di Sansone, per esempio, consacrò il figlio seguendo le istruzioni dell'angelo con l'intento di vedere la liberazione d'Israele dai filistei (Gdc 13:2-5; 16,17). Analogamente, l'angelo Gabriele disse a Zaccaria di educare Giovanni (battista) da nazireo per il suo ministero di precursore del Messia (Lc 1:15). Anche Anna prese il voto di consacrare Samuele al nazireato per tutta la vita (1 Sam 1:10,11).
È interessante anche l'ingiunzione riguardante il bere. La vigna e i suoi prodotti come il succo, il vino e l'uva rappresentavano per la mentalità del tempo una terra coltivata di fattorie e poderi. Quando i nazirei non bevevano dalla vigna, esprimevano concretamente la convinzione di essere diretti verso una terra migliore. La vigna era simbolo di esistenza stabile; ma il nazireo, per il modo in cui viveva, dimostrava praticamente il desiderio di una terra «migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città» (Eb 11:16).
Come viviamo noi avventisti nell'attesa di una «nazione migliore», a prescindere da quella nella quale stiamo vivendo? In che modo possiamo concretamente proteggerci dal rischio di essere troppo legati alle nostre «vigne» e perdere così di vista la destinazione finale?
«Il Signore ti benedica e ti protegga! Il Signore faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il Signore rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!» Numeri 6:24-26
Dopo aver letto con attenzione le benedizioni di questi passi, rispondi a queste domande:
Quale natura ha la divinità cui si accenna (Mt 28:19)?
Perché questa preghiera rivela la totale dipendenza di Israele da Dio (Gv 15:5)?
Quale significato dare al fatto che i sacerdoti stessi erano gli unici a pronunciare questa invocazione a favore del popolo (Eb 7:25)?
Ci sono diversi elementi interessanti in questi versetti. Ogni strofa inizia con il nome personale di Dio, quello usato per il patto (Yahweh, Signore). La congregazione alla quale si rivolge la preghiera è al singolare, a significare che si rivolgeva individualmente a ogni persona, in modo che ciascuno possa capire cosa volesse dire la benedizione individuale. Anche se Israele era una grande comunità, ciascuno poteva accedere a una relazione personale con il Signore.
In quel tempo Israele non poteva contare sulle Scritture. Le benedizioni di Dio erano visibili nella liberazione dal giogo della schiavitù, nel passaggio del mar Rosso e nell'aver provveduto al loro sostentamento con acqua e cibo. Il suo potere «protettivo» si sarebbe visto con la sua presenza nel santuario, i cui rituali (sacrifici, incenso e menorah) bruciavano di continuo, giorno e notte.
Abbiamo la chiara evidenza che la religione dell'Antico Testamento era tutta basata sulla grazia (Gal 3:7-14; Eb 4:1,2). La terza strofa dà al credente la certezza della «dolcezza» di Dio e della sua pace (cfr. Mt 11:28-30).
Hai mai vissuto personalmente le benedizioni elencate in precedenza? Quali comportamenti potrebbero rendere difficoltoso il realizzarsi di queste promesse? Ci sono cambiamenti, anche dolorosi, che ti senti chiamato ad avviare?
«Fate in modo che la prima preoccupazione della giornata sia quella di consacrarvi a Dio, pregando così: "Signore voglio appartenere completamente a te! Affido a te tutti i miei progetti. Serviti di me oggi, vivi in me e fa che io agisca sempre secondo la tua volontà". È un dovere quotidiano consacrare a Dio ogni mattina la vostra giornata. Sottoponetegli i vostri progetti, pronti a realizzarli o ad abbandonarli secondo la sua volontà. In questo modo giorno dopo giorno offrirete la vostra vita a Dio, che la trasformerà rendendola simile a quella di Cristo» - SC, p. 70 [70].
«A volte la vita può separare gli amici e le acque agitate del mare possono interporsi tra noi e loro, ma nessuna circostanza, nessuna distanza può separarci dal Salvatore. In qualunque luogo possiamo trovarci, egli si fa trovare accanto a noi per sostenerci, aiutarci e confortarci. L'amore di Cristo per i redenti è più grande dell'amore di una madre per il figlio. Abbiamo il privilegio di contare sul suo amore e dire: "Io voglio avere fiducia in lui perché ha dato la sua vita per me"» - MH, 72 [32].
Domande per la discussione
1. Anche se tutti conosciamo i pericoli che possiamo correre restando troppo invischiati nelle cose di questo mondo perdendo di vista la nostra vera casa, c'è la possibilità di essere talmente assorbiti dal desiderio del cielo al punto da sottrarsi alle nostre responsabilità terrene? Se sì, in che modo? Come trovare il giusto equilibrio? Quale esempi ti vengono in mente quando vedi persone che si sono spinte troppo in là nell'anticipazione del cielo, trascurando le loro responsabilità?
2. A quali tensioni viene sottoposto il matrimonio nella società in cui vivi? Come può agire la chiesa per proteggere la sacralità di questa istituzione stabilita da Dio?
3. Discutere nella classe di circostanze che vi hanno visto sbagliare oppure vittime di sbagli, e di come avete recuperato la situazione. Come gestire quei casi nei quali la colpa appare proprio imperdonabile?
In sintesi
Il Signore desidera che il suo popolo viva felice e in pace. L'integrità fisica e spirituale si ottengono mediante un'ubbidienza mossa dall'amore alle sue leggi che proteggono la vita, le relazioni con il coniuge e il prossimo e una consacrazione quotidiana della nostra volontà al Padre celeste. Questo non significa che l'esistenza sia sempre agevole su questa terra sottomessa al giogo del peccato, ma può migliorare se cerchiamo di camminare lungo i suoi sentieri.